Il divieto di licenziamento in gravidanza non opera nel lavoro domestico

Il divieto di licenziamento in gravidanza non opera nel lavoro domestico

Sentenza del Tribunale di Udine del 16 ottobre 2017 n. 182

Lo studio legale aveva assunto le difese di un’anziana, convenuta in causa con ben due distinti ricorsi dalla sua badante avverso l’intimato licenziamento.

Il fatto

Dopo appena un paio di mesi dalla firma del contratto a tempo indeterminato, l’anziana era costretta a comunicare alla badante il licenziamento con preavviso. Infatti, mentre il periodo iniziale e immediatamente successivo alla firma del contratto era stato tutto sommato soddisfacente, in seguito la badante decideva di farsi accompagnare dal marito in casa dell’anziana per trascorrere con lui il tempo dell’orario di lavoro. L’anziana, pur avendo comunicato più volte di non gradire la presenza del marito della badante, persistendo tale circostanza, era costretta a intimare il recesso dal contratto con regolare preavviso.
Dopo l’intimazione del recesso, in una delle giornate lavorative del preavviso, la badante abbandonava il lavoro e lasciava l’anziana -persona non autosufficiente- da sola in casa. Nel pomeriggio della stessa giornata, un famigliare rinveniva l’anziana riversa a terra da diverse ore e dolorante -causa frattura di alcune costole-. I famigliari trovavano un certificato medico della badante per il giorno stesso.
In tale contesto, l’anziana e i suoi famigliari decidevano di intimare un secondo licenziamento e interrompere con effetto immediato il rapporto.
Qualche giorno più tardi la badante faceva pervenire una raccomandata con cui trasmetteva copia del certificato medico attestante uno stato di gravidanza e l’impugnazione di entrambi i licenziamento, ritenuti nulli e discriminatori.
In seguito, la badante promuoveva due distinti ricorsi, uno ex art. 1, comma 47 e ss., Legge n.92/2012 e l’altro ordinario ex art. 413 e ss. c.p.c., con i quali chiedeva di accertare e dichiarare la nullità del licenziamento in quanto discriminatorio e di condannare alla reintegrazione e al risarcimento danni.

Motivi della decisione

Riunite le cause e mutato il rito Fornero in quello ordinario, il Tribunale di Udine dava ragione all’anziana e rigettava tutte le domande della badante, condannandola al pagamento delle spese di lite.

La condizione di donna incinta non può motivare, per ciò solo, la sussistenza di una discriminazione, giacché è necessario argomentare in ordine ad eventuali fattori di effettiva discriminatorietà della condotta datoriale“.

Ai sensi dell’art. 62 comma 1 del D.lgs. n. 151/01, alle lavoratrici ed ai lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari si applicano le norme relative al congedo per maternità e le disposizioni di cui agli articoli 6 comma 3, 16, 17, 22 commi 3 e 6, ivi compreso il relativo trattamento economico e normativo, con non casuale esclusione del divieto di licenziamento (dall’inizio della gestazione fino al compimento di un anno d’età del bambino) previsto, invece, dall’art. 54 dello stesso D.Lgs.“.

Pertanto, non potendosi ritenere per legge vietato, in ambito di lavoro domestico, licenziare la lavoratrice in stato di gravidanza, detto recesso non avrebbe mai potuto essere considerato discriminatorio solo sulla base della condizione di donna incinta e che, del pari, anche laddove si fosse voluto fare rinvio alla previsione dell’art. 24. Comma 3 del CCNL domestici, la fonte solo contrattuale del divieto di licenziamento della lavoratrice in gravidanza fino alla cessazione del congedo di maternità ivi previsto non avrebbe all’evidenza determinato, in caso di sua violazione, un’ipotesi di nullità dell’atto risolutivo per contrarietà alla legge“.

Il testo del provvedimento